Imparare la musica: oralità o scrittura?
- Marianne Gubri
- 13 mag
- Tempo di lettura: 3 min

Fin dalla notte dei tempi, la musica è stata trasmessa principalmente per via orale. Nella maggior parte delle tradizioni musicali — africane, celtiche, orientali o sciamaniche — si impara a suonare ad orecchio, per imitazione, tramite ascolto attento, osservando e ripetendo insieme agli anziani. Questo è stato vero per secoli, ben prima dell'invenzione della scrittura musicale nel Medioevo e del suo sviluppo nel Rinascimento.
Ancora oggi, molte musiche vive — tradizionali, jazz, popolari, sound healing — continuano a essere insegnate oralmente, nel momento, nella condivisione. Questo tipo di apprendimento favorisce l’intuizione, la presenza, la percezione corporea, l’improvvisazione e l’espressione personale.
Ciò che l’oralità trasmette non si limita alle note: comprende il groove, la musicalità, il fraseggio, una qualità di suono, un’intenzione e un’energia che la scrittura musicale fatica a catturare. I bardi e i druidi celtici lo sapevano bene: non hanno mai scritto la loro musica né i loro racconti epici. La trasmissione era basata sulla memoria, sull’oralità e sul rapporto diretto.
Al contrario, la scrittura musicale diventa indispensabile quando il livello di complessità armonica o formale è tale da rendere impossibile la memorizzazione. Permette di fissare, trasmettere fedelmente e analizzare in profondità un’opera. In questo senso, è uno strumento prezioso di rigore, trasmissione e studio.
Dal punto di vista cognitivo, questi due approcci attivano zone diverse del cervello:
l’oralità coinvolge l’emisfero destro (intuizione, globalità, movimento, musicalità naturale),
la scrittura stimola l’emisfero sinistro (logica, analisi, struttura, memoria visiva).
In pedagogia, è quindi fondamentale riconoscere questi due stili di apprendimento. Alcuni imparano con l’orecchio e il movimento, altri con la lettura e la comprensione formale. L’ideale è poter incrociare gli approcci e lasciare a ciascuno la libertà di seguire il proprio percorso.
La mia esperienza personale: tra due mondi
Io stessa ho iniziato lo studio dell’arpa in conservatorio in modo molto accademico, con l’apprendimento della musica scritta, del solfeggio e delle partiture. Più tardi, nel dipartimento di musica tradizionale bretone, ho scoperto un modo completamente diverso di apprendere: ad orecchio, osservando e suonando insieme ai maestri, nella pratica diretta.
In seguito, esplorando l’improvvisazione nelle musiche antiche, medievali, rinascimentali e barocche, ho vissuto una vera e propria unione tra questi due mondi. Le strutture del basso continuo, i modi antichi, l’ornamentazione appresa ad orecchio… strumenti che uniscono oralità e scrittura.
Con l’arpa-terapia, oggi riscopro il potere dell’intenzione musicale in una musica non scritta, creata nel momento presente per accompagnare emozioni, stati di coscienza e bisogni individuali.
Due strade, un unico viaggio
La musica orale favorisce:
l’ascolto attivo e la presenza,
l’improvvisazione e l’espressione libera,
la memoria uditiva e corporea,
la connessione umana e intuitiva,
la libertà e la spontaneità del gesto musicale.
La musica scritta permette:
la precisione formale,
l’accesso a opere complesse,
l’analisi musicale e la lettura della partitura,
il rigore e la trasmissione fedele,
lo sviluppo del pensiero logico.
Questi due approcci non si oppongono. Si completano.
Per approfondire
Questa è la visione che porto nei miei corsi:
La Harpe Intuitive (in francese): un percorso sensibile e vivo, dedicato a un approccio orale e spontaneo all’arpa.
The Soul of Modal Improvisation (in inglese): un corso completo per esplorare i modi, l’improvvisazione libera e la risonanza, tra tradizione e libertà.
Due strade, due linguaggi, un’unica musica da far vibrare dentro di voi.
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