432 Hz, 440 Hz: qual è l’accordatura migliore?
- Marianne Gubri
- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min

Nel mondo della sonoterapia, si sente spesso parlare di frequenze di accordatura "ideali" per favorire l’armonia e il benessere. La più citata è senza dubbio quella di 432 Hz. Tuttavia, la maggior parte dei musicisti professionisti e dei liutai accordano i propri strumenti a 440 Hz, o addirittura a 442 Hz nelle orchestre contemporanee. Ma qual è la l'accordatura giusta? Da dove derivano queste diverse frequenze di riferimento? Esiste davvero una frequenza "giusta" e universale?
Questo articolo offre una panoramica storica e pratica sulla questione dell’accordatura musicale e del diapason di riferimento, ripercorrendone le origini empiriche, l’evoluzione scientifica e gli usi attuali.
Accordatura e diapason di riferimento: tra storia, scienza e consapevolezza vibratoria
Una storia empirica del suono
Prima delle ricerche di Heinrich Hertz sulle frequenze (alla fine del XIX secolo), la musica veniva trasmessa per via orale e attraverso la pratica strumentale. Non esisteva un sistema preciso per misurare le vibrazioni al secondo. Erano gli strumenti stessi a custodire la memoria dell’altezza dei suoni: flauti, organi antichi, corde, tutti accordati secondo le regole del proprio tempo e del proprio contesto.
Heinrich Hertz (1857-1894), fisico tedesco, fu il primo a misurare e dimostrare la propagazione delle onde elettromagnetiche, dando il nome all’unità di misura delle frequenze: l’Hertz (Hz). I suoi studi permisero di associare a un’altezza sonora una frequenza misurabile in cicli al secondo, aprendo la strada a un nuovo approccio scientifico al suono.
I diapason antichi e la musica storica
Il diapason non è mai stato universale: organi antichi, strumenti barocchi o classici variavano anche di decine di hertz a seconda dell’epoca e del luogo. Sono stati ritrovati organi medievali accordati intorno ai 392 Hz, ma anche altri a 465 Hz.Non si trattava di un valore fisso, ma di una scelta legata alla risonanza ottimale di ogni strumento – in particolare delle corde – per evitare tensioni eccessive che avrebbero potuto causarne la rottura.
Oggi, i musicisti specializzati nella musica antica utilizzano diapason storici (ad esempio 415 Hz per il periodo barocco), insieme a temperamenti antichi, diversi dal temperamento equabile moderno, per ritrovare i colori armonici dell’epoca.
Il XIX secolo: verso una scienza delle frequenze
Con i progressi dell’acustica nel XIX secolo, gli scienziati iniziarono a cercare di standardizzare le altezze dei suoni. Tuttavia, i diapason continuavano a variare molto da paese a paese, e perfino da città a città: si suonava a circa 430 Hz a Parigi, 435 Hz a Milano, 450 Hz a Londra. Il diapason di Beethoven, conservato alla British Library, è a 455 Hz.Non esisteva ancora un accordo internazionale, e ogni teatro o orchestra adottava uno standard proprio.
La standardizzazione a 440 Hz
La standardizzazione progressiva del diapason a 440 Hz comincia negli anni ’30, con una prima raccomandazione a Londra nel 1939. Solo nel 1955, l’Organizzazione Internazionale per la Normazione (ISO) adotta ufficialmente il 440 Hz come riferimento. Questa norma mira a unificare le pratiche musicali a livello internazionale, ma in realtà resta solo indicativa.
Una tendenza attuale all’aumento
Oggi, molti orchestre accordano i loro strumenti a 442 Hz o 444 Hz, soprattutto in Germania. Questa scelta è spesso motivata da una ricerca di maggiore brillantezza sonora, tensione armonica e potenza proiettiva nelle grandi sale da concerto.
Il mito moderno del 432 Hz
Nelle pratiche di sonoterapia, il 432 Hz viene spesso presentato come una frequenza “naturale”, legata al benessere e all’armonia cosmica. Sebbene questa idea non abbia fondamenti storici solidi, ha il merito di aver riportato l’attenzione sulle frequenze, sulle vibrazioni e sul loro ruolo nella salute.
Questa visione risuona con un approccio olistico alla medicina, che affianca alle cure meccaniche, farmacologiche o chirurgiche anche le dimensioni energetiche e sensoriali.
Una coscienza vibratoria individuale
Come ricorda Jonathan Goldman, “siamo tutti esseri vibratori unici”. Nella vibroacustica, le mie osservazioni mostrano chiaramente che ogni individuo possiede una propria impronta sonora unica.
Ho pubblicato l’articolo “Human as a Multidimensional Harp: A Convergence between Therapeutic Music and Vibroacoustic Harp Therapy” negli atti del 7° Congresso Biennale dell’ISQRMM (Interdisciplinary Society for Quantitative Research in Music and Medicine, 2023, USA), che rappresenta uno dei primi studi scientifici sulle frequenze del corpo umano.Attraverso la Vibroacoustic Harp Therapy (VAHT), si può osservare come le frequenze musicali agiscano diversamente su ciascuna persona, rivelando un’impronta sonora individuale.
Questa unicità rende inutile l’idea di un diapason “ideale” valido per tutti. La vera armonia si costruisce nell’ascolto profondo, adattato a ogni essere.
Raccomandazioni per gli arpisti
Per gli arpisti, è fondamentale accordare il proprio strumento secondo le indicazioni del liutaio. Ogni arpa è progettata per risuonare al meglio con una certa tensione: un’accordatura diversa può alterarne la sonorità o danneggiare lo strumento (corde troppo tese o troppo molli).
Cambiare diapason può anche compromettere l’intonazione dei semitoni, soprattutto sulle arpe a leve. Per queste ragioni, consiglio un’accordatura a 440 Hz.
È importante anche scegliere con cura gli strumenti per la sonoterapia (campane, carillon, gong...) affinché siano in armonia con la propria arpa.
L’idea secondo cui 432 Hz sarebbe la “frequenza perfetta” è una costruzione recente, diffusa a partire dagli anni 2000, spesso a scopo commerciale nel mondo del benessere. Pur suscitando un interesse utile verso il tema delle frequenze, non ha alcun fondamento storico o scientifico solido.
Per i musicisti e i terapeuti del suono, la questione del diapason è secondaria. Da un lato, ogni essere umano ha le proprie frequenze di risonanza, come dimostrano i lavori in vibroacustica. Dall’altro, il corpo umano è sensibile a tutte le frequenze udibili: non vibra solo a 432 o 440 Hz, ma all’intero spettro sonoro, secondo la situazione, l’emozione, l’intenzione e il contesto.
Numerosi altri fattori sono molto più determinanti nell’effetto terapeutico di un suono:
la qualità timbrica e la bellezza del suono,
il ritmo, che struttura l’attenzione,
i modi e le armonie, che colorano l’esperienza emozionale,
l’intenzione posta nell’esecuzione,
il temperamento e l'accordatura degli intervalli come relazione tra le note (a breve un altro articolo sui temperamenti antichi)
e l’intensità sonora e vibratoria, che determina la profondità dell’impatto.
Non è quindi la frequenza in sé a curare o ad elevare, ma la relazione consapevole tra il musicista, il suono e la persona che lo riceve.
Il diapason non è solo una questione di numeri: è lo specchio del nostro modo di ascoltare, percepire e connettere il suono alla vita. La sua evoluzione – dall’empirismo alla norma, fino alle esplorazioni contemporanee – testimonia una ricerca sempre viva di equilibrio e verità.
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